Le donne e benedetto il frutto del tuo seno gesù

Piero della Francesca, La Madonna del parto

“Benedetto il frutto del suo seno, Gesù”, dice la versione italiana dell’Ave Maria. Ma il testo originale ha una parola che un mio vecchio testo di esegesi traduce “ventre”, “utero”. La versione corrente non denuncia, secondo te, un po’ di paura della “carne”, della incarnazione? È scandaloso dire che Dio è entrato nella pancia di una donna… don R.

Sì, è “scandaloso”, caro “don”! Davanti a Dio che sceglie di entrare nella nostra carne mortale per assumerne tutte le contraddizioni, i limiti, le fragilità, la caducità, la temporalità, la povertà e la contingenza, è difficile rimanere indifferenti e non esclamare come Pietro, di fronte alla passione e alla morte del Maestro: «Dio non voglia, Signore! No, questo non ti accadrà mai!» (Mt. 16,22). Può, infatti, essere problematico accettare che Dio scelga proprio la via dell’Incarnazione per far conoscere il suo Amore all’uomo!

Dio si è fatto carne

Niente di nuovo sotto il sole! Dall’inizio del cristianesimo, infatti, nella Chiesa non sono mancate eresie che, contrapponendo “lo spirito”, alla “carne”, si sono rifiutate di credere nella vera natura umana di Gesù. Nella sua Prima lettera, san Giovanni scrive: “In questo potete riconoscere lo Spirito di Dio: ogni spirito che riconosce Gesù Cristo venuto nella carne, è da Dio; ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio” (1Gv.4,2-3). Commentando questo versetto, un autore evidenzia:

Questa prima regola rendeva forti i fedeli contro le eresie che si seminavano (…) che non volevano che Gesù Cristo fosse veramente uomo, ma che il corpo ch’egli aveva preso non fosse che apparente e fantastico. Quelli che confessavano allora che Gesù Cristo era veramente uomo e che aveva preso nel seno della Santissima Vergine Maria una carne come la nostra, erano ortodossi ed avevano la dottrina che è da Dio; ma quelli che negavano la verità della Carne di Gesù Cristo erano eretici: il che si trova vero in tutti i tempi.

La novità della rivelazione cristiana consiste proprio in questo “paradosso”: Dio, che è il totalmente altro, in Gesù Cristo, si fa vicino all’uomo ed entra nella nostra carne mortale per elevarla sino al cielo. Il capovolgimento prospettico è, dunque, radicale! Con l’Incarnazione, Dio eleva la nostra umanità sino a renderla “strada” ordinaria attraverso la quale Egli viene incontro all’uomo e l’uomo può andare a Lui. Dal momento in cui la Vergine di Nazareth si apre all’azione feconda dello Spirito che la rende madre, infatti, l’umanità può accedere a Dio; ogni ambito dell’esistenza terrena entra in questa comunione: persino la malattia, il dolore, la fragilità, della debolezza, addirittura la morte, si rivelano luoghi di incontro e di relazione con il Signore, che in Gesù si è fatto povero, ultimo, debole, emarginato e condannato.

Ricordiamo il capitolo 25,35-39 dell’evangelista Matteo: “«Io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato..» – Quando Signore? – «In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me»”. Riconoscere il Figlio di Dio venuto nella carne e servirlo nei più bisognosi, a cominciare da se stessi, spesso ammalati interiormente, nudi, affamati, peccatori, miseri e poveri, diventa nientemeno la discriminante per la salvezza eterna!

Punto di incontro fra cielo e terra

L’umanità di Cristo è, dunque, il punto d’incontro del cielo e della terra: Dio, in Gesù, assume la nostra carne mortale per renderla partecipe della sua natura divina. Eloquente è il Prefazio III del Tempo di Natale:

In lui (ndr Cristo, Signore) oggi risplende in piena luce il misterioso scambio che ci ha redenti: la nostra debolezza è assunta dal Verbo, l’uomo mortale è innalzato a dignità perenne e noi, uniti a te in comunione mirabile, condividiamo la tua vita immortale.

Anche nella preghiera sulle offerte della Messa dell’aurora della Solennità di Natale, la Chiesa prega:

Accetta, o Padre, la nostra offerta in questa notte di luce, e per questo misterioso scambio di doni trasformaci nel Cristo tuo Figlio, che ha innalzato l’uomo accanto a te nella gloria.

Magistralmente papa Benedetto XVI ci ha istruito: “Dio è sceso dal suo Cielo per entrare nella nostra carne. In Gesù, Dio si è incarnato, è diventato uomo come noi, e così ci ha aperto la strada verso il suo Cielo, verso la comunione piena con Lui” (Udienza generale, 9 gennaio 2013).

Solo la sapienza creatrice di Dio poteva compiere questo prodigio che, tuttavia, troverà il suo compimento definitivo alla fine dei tempi, quando Cristo sarà tutto in tutti.

Benedetto sia il frutto del tuo seno”

(Deut. 28, 4 e Lc. 1, 42)

di Gianna Sciclone

Queste parole sono nel saluto di Elisabetta a Maria in occasione della visita raccontata dal Vangelo di Luca, visita che è un delicato e commosso incontro di madri, ma al tempo stesso un episodio carico di simboli teologici in vista del rapporto fra Giovanni e Gesù. Giovanni rappresenta l’annuncio e Gesù il compimento delle promesse di Dio, l’ultimo dei profeti e il Re del Regno di Dio. Elisabetta si esprime con parole bibliche, prese dalla tradizione dei “padri e delle madri” del vecchio Israele, che si è insediato nella terra promessa e ha ricevuto le parole della benedizione, che elencano tutto quello che sta attorno agli esseri umani: la città e la campagna, la famiglia e l’impresa, tutto quello che si ha già e tutto quello che si riceverà nel futuro. “Il Signore ti costituirà suo popolo santo, come ti ha giurato, se osserverai i suoi comandamenti e se camminerai nelle sue vie. Tutti i popoli della terra vedranno che tu porti (proclami) il nome del Signore e ti temeranno” (Dt. 28, 9-10).

“Benedetto sarà il frutto del tuo seno” fa parte del lungo elenco delle benedizioni: un’ampia figliolanza era vista come possibilità di maggior capacità di lavoro e di prestigio fra le famiglie dell’età patriarcale, la terra aveva bisogno di braccia e più la famiglia era numerosa, più poteva diventare prospera. L’era industriale ha cambiato i parametri di valutazione: molti figli diventano sinonimo di povertà, tante bocche da sfamare. Non la terra assicura prosperità, ma il lavoro, che però non è mai sicuro e soprattutto non arricchisce chi lo fa, ma chi ne controlla l’organizzazione e ne riceve il profitto. La benedizione promessa al “popolo santo” è condizionata alla osservanza dei comandamenti e al camminare con Dio; non si tratta di “condizioni” o di “garanzie”, ma è un modo di essere e di vivere, che assicura pace e prosperità. Vi si crede per fede e una generazione ne dà testimonianza all’altra, perché ne è vissuta. Nella civiltà fondata sulla produzione e sul lavoro, quali saranno i fondamenti della benedizione? Cosa resta da trasmettere ai figli e ai nipoti?

Elisabetta e Maria hanno due storie diverse: Elisabetta è sterile, ma Dio le fa concepire un figlio nella vecchiaia; il marito è ancora muto per lo spavento della visione dell’angelo del Signore, che ha annunciato la nascita di Giovanni. Maria ha avuto lei stessa la visione dell’angelo e l’annuncio del concepimento miracoloso di Gesù, che sarà il Re messianico, vero discendente spirituale di Davide (Lc. 1, 32-33). Anche l’uomo di Maria, per questo momento non c’entra. Due donne sole che lodano Dio a piena voce (v.42). Per la donna più anziana l’esperienza della nascita miracolosa chiude una stagione della vita, per la donna giovane la apre ad una vita nuova. Il bambino che Elisabetta ha nel grembo “balza di gioia” di fronte al bambino del grembo della giovane Maria. Questo “balzare nel grembo” richiama un altro passo della tradizione (Gen. 25, 21-23) quando Rebecca ha in seno due gemelli, dei quali “il maggiore servirà il minore”, Esaù, il maggiore, sarà meno famoso di Giacobbe, il minore; come avverrà per Giovanni e Gesù.

Le parole “benedetta sei tu tra le donne” e “benedetto è il frutto del tuo seno” sono mescolate alle parole dell’angelo “Ti saluto, o favorita dalla grazia, il Signore è con te” (v.28) in una preghiera cattolica molto diffusa, l’Ave Maria. Noi protestanti non la usiamo in assoluto e forse non ci ricordiamo nemmeno che la maggior parte delle frasi di questa preghiera si trova nella Bibbia. La nostra sensazione è che le frasi abbiano assunto un significato diverso: nella preghiera cattolica sono una “lode di Maria”, mentre nella Bibbia sono “lode di Dio” espressa prima da Elisabetta e poi anche da Maria, in modo molto pertinente e profetico, per esempio nel cosiddetto Cantico di Maria, che segue subito il nostro testo.

“Benedetta fra le donne” è una locuzione ebraica che si incontra in altri contesti non sempre piacevoli: nel cantico di Debora che esalta le gesta di Jael, che ha ucciso Sisera rifugiatosi nella sua tenda;

o nella sfida fra le mogli di Giacobbe, quando Lea partorì Asher. Ma nel Nuovo Testamento c’è anche la beatitudine pronunciata da una donna: Lc. 11, 27 “Beato il seno che ti portò e le mammelle che tu poppasti” che è una circonluzione per esaltare il valore unico di Gesù stesso.

Lo spostamento di oggetto della lode da Gesù a Maria è di gran significato, dal momento che in Gesù si loda la venuta di Dio stesso nel mondo. Quando Luca mette in bocca alle due donne o ai loro feti nascosti questo riconoscimento e questa lode, sta dicendo che la venuta di Dio in terra è pura grazia e non è merito umano. E’ una attività pre-natale dove non c’è nulla di puro da esaltare o di meritorio da far valere da parte umana, ma c’è sì l’accoglienza di come si compie la volontà di Dio.

Del resto la benedizione del “frutto del ventre” non significherà lunga vita e assicurazione di buona vecchiaia per entrambi i bambini: Giovanni morirà ucciso per aver temerariamente condannato le intemperanze di un re, Gesù verrà martirizzato ed ucciso per avere accettato il titolo di Re, sia pure di altra categoria. La benedizione per loro significa che Dio ha voluto la loro venuta nel mondo e si identifica nel loro annuncio e nelle loro azioni, certo in maniera più particolare in quelle di Gesù.

Elisabetta e Maria rappresentano il Vecchio e il Nuovo Testamento, la prima comunità unita nella lode di Dio, che avviene per loro bocca e per il trasalire nel seno del piccolo Giovanni, che poi sarà chiamato il Battezzatore. Nei Salmi di Salomone, uno scritto contemporaneo al loro tempo, si dice del credente che è “felice e sussulta come un bimbo nel grembo della madre” (28,2). La visita e l’incontro delle due madri evidenzia gli elementi meno razionali del culto, anzi mette in luce come questo possa consistere soprattutto in sentimenti ed impulsi che sbocciano dal subconscio. Il Dio che opera nella storia umana e risolleva le sorti dei poveri e degli umili, come canta Maria, interviene anche nella piccola vita personale delle due donne.

Accogliere la venuta di Dio, nella gioia di mettersi a sua disposizione per fare la sua volontà e per aiutare il mondo
a vivere una vita nuova nella pace; questa è la testimonianza delle due donne nel loro incontro. E questo significa
che la nostra umanità non è solo ribelle e riottosa, sempre in opposizione a Dio e in inimicizia reciproca, ma è anche
accoglienza e fede, è prendere la vita a braccia aperte, è riconoscere che la venuta di Gesù è nuova vita per ciascuno
e per il mondo, è il segreto della felicità di Maria e della nostra felicità.