Si può rimanere incinta durante la stimolazione

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  • Fecondazione assistita: le tecniche per migliorare le probabilità di successo

Si può rimanere incinta durante la stimolazione

Per alcune coppie la ricerca di un figlio può diventare un percorso a ostacoli. Oggi, un’opportunità in più è data dal ricorso ai trattamenti di fecondazione assistita. Vediamo le tecniche migliori, dall’inseminazione artificiale alla fecondazione in vitro

Sono tante le coppie italiane che hanno difficoltà a realizzare il desiderio di un figlio. “Le ragioni sono le più disparate, ma nella maggior parte dei casi all’origine dell’infertilità c’è l’età avanzata della donna, considerata la tendenza negli ultimi anni a rimandare sempre più a lungo la ricerca di una gravidanza”, osserva Daniela Galliano, che dirige il Centro IVI per la riproduzione assistita di Roma.

“Di solito, si raccomanda alle coppie di rivolgersi a uno specialista della fertilità dopo un anno di tentativi di concepimento infruttuosi. Se però l'aspirante mamma ha 38 anni o più, non bisognerebbe attendere più di 6 mesi prima di chiedere una consulenza. Altrimenti si rischia di perdere tempo prezioso, mentre la riserva ovarica della donna si riduce, e diminuisce di pari passo la probabilità di portare a termine il progetto anche con l’aiuto della fecondazione assistita”.

La ricerca delle cause

In prima istanza, lo specialista raccomanderà alla coppia di avere rapporti mirati nei periodi fertili del ciclo e prescriverà alcuni esami per accertare la causa della difficoltà di concepimento.

Nel 15% dei casi, il problema si risolve in questa fase: con i rapporti mirati oppure identificando una causa di infertilità e rimuovendola”, dice Galliano. “Se però la situazione non si sblocca e non si riesce a identificare l’origine del problema, non è il caso di continuare a oltranza con i tentativi mirati, sprecando tempo prezioso. Meglio far ricorso alla fecondazione assistita, che oggi garantisce buone probabilità di successo”.

L’inseminazione artificiale

La tecnica più semplice di procreazione assistita è l’inseminazione artificiale. Consiste nell’introdurre il seme del partner, o di un donatore in caso di fecondazione eterologa, direttamente nell’utero, per favorire l’incontro spontaneo con l’ovocita nella finestra di maggiore fertilità della donna. Può essere preceduta da una lieve stimolazione ovarica.

“Si può far ricorso a questa tecnica quando la donna ha le tube pervie, cioè quando gli spermatozoi e l’ovocita maturo possono percorrere le tube senza incontrare ostacoli”, spiega Galliano. “È proprio in una tuba che avviene la fecondazione spontanea dell’ovocita da parte di uno spermatozoo. Un altro requisito per procedere all’inseminazione artificiale è una buona qualità del liquido seminale”.

La fecondazione in vitro: FIVET e ICSI

Se non sussistono le condizioni per tentare l’inseminazione artificiale, o questa fallisce ripetutamente, oppure quando la donna ha 38 anni o più, si passa alle tecniche di secondo livello. Queste procedure comportano che la fecondazione avvenga all’esterno del corpo della donna. In primo luogo, quindi è necessaria una stimolazione farmacologica delle ovaie che induca la maturazione contemporanea di più ovociti. E non di uno solo per ciclo come avviene spontaneamente. Gli ovociti maturi vengono poi raccolti con un intervento ambulatoriale per via vaginale.

  • La FIVET, ovvero la fecondazione in vitro con trasferimento dell’embrione, prevede che gli ovociti maturi raccolti dopo la stimolazione ovarica vengano messi a contatto in vitro con gli spermatozoi. A fecondazione avvenuta, l’embrione viene mantenuto alcuni giorni in laboratorio in un liquido di coltura e, quindi, trasferito in utero. “Rispetto all’inseminazione artificiale, la fecondazione in vitro consente di superare alcuni ostacoli”, dice Daniela Galliano. “Selezionare gli spermatozoi e gli ovociti di qualità migliore e trasferire in utero l’embrione che ha le maggiori probabilità di attecchire e dare avvio a una gravidanza. Inoltre, quando gli aspiranti genitori sono affetti da una patologia geneticamente trasmissibile, facendo ricorso alla fecondazione in vitro è possibile sottoporre gli embrioni ottenuti a un esame pre-impianto e scegliere per l’impianto quelli che non hanno ereditato la malattia”.

  • La ICSI, ovvero iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo, è un’altra tecnica di fecondazione in vitro. Invece di mettere semplicemente a contatto ovociti e spermatozoi, si inietta uno spermatozoo all’interno di un ovocita. “Ormai, quando si fa la fecondazione in vitro, si ricorre quasi sempre all’ICSI, perché offre maggiori probabilità di riuscita”, spiega l’esperta. “Ma questa tecnica è particolarmente indicata quando gli spermatozoi hanno problemi di mobilità o anomalie morfologiche che ostacolano il loro ingresso spontaneo nell’ovocita”.

Per il trasferimento, meglio aspettare lo stadio di blastocisti

Avvenuta la fecondazione in vitro con FIVET o ICSI, l’embrione viene trasferito in utero con un breve intervento ambulatoriale, per via vaginale, dopo alcuni giorni di coltura in laboratorio. Oggi, per l’impianto, si preferisce aspettare lo stadio di blastociti. Vediamo di cosa si tratta.

  • COS’È LA BLASTOCITI? “In natura, dal momento della fecondazione l’embrione impiega cinque giorni per raggiungere l’utero attraverso la tuba in cui è avvenuto l’incontro con lo spermatozoo”, spiega Daniela Galliano. “Intanto, la singola cellula di partenza si moltiplica e si differenzia. L’embrione attraversa stadi di sviluppo successivi. Al momento dell’impianto dell'ovulo, è allo stadio di blastocisti, cioè è formato da circa 200 cellule e dotato di una struttura interna che darà origine a placenta, membrane amniotiche e tessuti del nascituro”.

  • QUANTI EMBRIONI ARRIVANO A BLASTOCITI? Durante le varie fasi dello sviluppo dell’embrione dalla fecondazione alla blastocisti, avviene un processo di selezione naturale. “Gran parte degli embrioni difettosi, che non potrebbero dare luogo a gravidanze normali, arrestano la crescita e vanno perduti, non arrivano a impiantarsi in utero. Per questa ragione, è più sicuro aspettare che l’embrione ottenuto in vitro raggiunga lo stadio di blastocisti prima di trasferirlo in utero. Circa metà degli embrioni non arriva al quinto giorno di sviluppo. Dunque, aspettare questa scadenza aumenta la probabilità che quello trasferito sia di buona qualità e la gravidanza prenda il via. La probabilità di successo aumenta del 30% se si sceglie di trasferire l’embrione allo stadio di blastocisti”.

  • BLASTOCITI E DIAGNOSI PRE-IMPIANTO. Aspettare la blastocisti è, inoltre, più vantaggioso se la coppia ha chiesto che gli embrioni prodotti vengano sottoposti a diagnosi pre-impianto. “Effettuare una biopsia su un embrione di 200 cellule è più sicuro che effettuarla su un embrione di poche decine di cellule”, osserva l’esperta.

  • BLASTOCITI, UN SOLO TRANSFER. Trasferendo l’embrione in quinta giornata, allo stadio di blastociti, ci si può limitare a trasferirne uno solo, perché la probabilità che attecchisca è maggiore. Si evita, così, il rischio di una gravidanza gemellare. “Per tutte queste ragioni, oggi si tende sempre a impiantare embrioni allo stadio di blastocisti”, spiega Daniela Galliano.

Altre procedure che aumentano la probabilità di successo

“Si ottiene un ulteriore aumento del 10% della probabilità di attecchimento congelando l’embrione e aspettando di trasferirlo in un ciclo successivo a quello in cui è avvenuta la stimolazione farmacologica delle ovaie”, spiega l’esperta. “Questo perché le condizioni dell’endometrio, cioè della mucosa che riveste internamente l’utero, sono meno favorevoli all’impianto durante il ciclo in cui è avvenuta la stimolazione”.

È possibile, poi, effettuare un esame dell’endometrio per individuare con precisione il giorno del ciclo migliore per l’impianto. “L’esame si chiama ERA, che sta per test di ricettività endometriale, e i centri IVI sono stati i primi a utilizzarlo”, dice Galliano. “Durante il ciclo precedente a quello in cui si intende trasferire in utero l’embrione, si effettua una biopsia dell’endometrio. Si tratta del prelievo di un campione di mucosa dalla superficie interna dell’utero per analizzare l’espressione di alcuni geni che predispongono l’endometrio a ricevere l’embrione. Da questa analisi si ricavano informazioni utili per individuare la finestra temporale più vantaggiosa per il trasferimento. Il 20% dei casi di ripetuto fallimento dell’impianto è dovuto, infatti, ad anomalie dell’endometrio, che si possono risolvere con una maggiore precisione dei tempi di intervento”.

Maria Cristina Valsecchi

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Quando la stimolazione ovarica non funziona?

ll termine “poor responder” indica le pazienti le cui ovaie non rispondono bene alla stimolazione con gonadotropine. Nelle pazienti con questa diagnosi, il numero limitato di ovociti è considerato il problema principale per il buon esito del trattamento.

Cosa fare e cosa non fare durante la stimolazione?

Evitare pesce ad alto contenuto di mercurio. Evitare l'esercizio fisico eccessivo: sarebbe preferibile non farlo. Camminare in maniera moderata è un buon esercizio durante l'attesa, che dura circa 2 settimane. Aiuta a mantenere bassi i livelli di stress.

Come ci si sente durante la stimolazione ovarica?

Il dolore ovarico durante la stimolazione ovarica è abbastanza comune. Potresti anche provare un lieve dolore addominale e gonfiore, ritenzione di liquidi o aumento delle perdite vaginali. Alcune donne avvertono mal di testa, fastidio al seno o sbalzi d'umore come sintomi associati alla stimolazione ovarica.

Quanti follicoli ci vogliono per rimanere incinta?

Quanti follicoli dovrebbero esserci nell'ovaio e quali dovrebbero essere le loro dimensioni? In base al numero di follicoli antrali si considera riserva ovarica adeguata o normale se il conteggio è d 6 a 10. Scarsa riserva ovarica se il conteggio è inferiore a 6 e alta riserva ovarica se è superiore a 12.