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Quaquaraquà, a volte scritto quacquaraquà, è un termine fonosimbolico della lingua siciliana che richiama il verso dell'anatra (o della quaglia[1]), ormai d'uso comune in quella italiana, in entrambe con il significato di persona particolarmente loquace, ma priva di capacità effettive, per questo ritenuta scarsamente affidabile. Nel gergo mafioso il termine "quaquaraquà" è anche usato come sinonimo di "delatore".[2] La diffusione del termine avvenne negli anni successivi all'uscita del romanzo Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia, anche per effetto dell'omonimo film:
La parola si è largamente diffusa in ambito giornalistico e letterario, fino a divenire d'uso popolare[3]. Curiosamente, il termine, durante l'accesa polemica sui "professionisti dell'antimafia", fu usato in un comunicato dall'associazione Coordinamento Antimafia per apostrofare proprio lo scrittore siciliano grazie al quale si diffuse[4]. Note[modifica | modifica wikitesto]
Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]
25 gennaio 2010 Leggendo il romanzo di Leonardo Sciascia Il giorno della civetta, ho trovato il termine "quaquaraquà". Ho controllato il significato su due dizionari. Uno diceva che significa "chiacchierone", l'altro "buono a nulla". Chi ha ragione?Lorenzo Scarpelli "L'umanità [...] la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz'uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà". Questa bella citazione dal romanzo di Sciascia si trova nel Vocabolario della lingua italiana Treccani, che, in qualche modo, dà una definizione articolata e onnicomprensiva: "chi parla troppo, quindi chiacchierone (e, nel gergo della mafia, delatore), o anche a persona alla cui loquacità non corrispondono capacità effettive, e perciò scarsamente affidabile". Grosso modo sulla stessa linea interpretativa si muove il Grande dizionario della lingua italiana del Battaglia, nel quale manca però l'ampliamento metonimico riferito a persone poco capaci e sostanzialmente inaffidabili. Per l'etimo, si annette la voce al campo del fonosimbolismo, in quanto essa ricorderebbe il verso delle oche (così il Treccani; nel Battaglia, la soggiacente voce quaquarà si definisce come imitativa del verso di quaglie, oche, papere e sim.; in due esempi su tre, la voce si riferisce alle quaglie). Lo studioso siciliano Salvatore Claudio Sgroi ha fatto le pulci a queste definizioni, spiegando che "la parola proviene dal siciliano quacquaraquà e vale 'individuo senza spina dorsale, inutile, inconcludente'" e annotando che in dialetto il termine indica in particolare il verso della quaglia. In siciliano è presente anche la variante quaquaraquà - nella grafia, cioè, più correntemente adottata in lingua -, nel significato di 'zolfataio di scarso rendimento'. Niente a che fare, comunque, secondo Sgroi, con la mafia e l'eccessiva loquacità. In seguito, Manlio Cortelazzo e Carla Marcato, nel Dizionario Etimologico - I dialetti italiani, hanno fatto propria l'interpretazione data da Sgroi ("uomo da nulla, uomo vile"). Chi sono i mezzi uomini?I mezzi uomini / Half men
I mezzi uomini sono quelle persone che non prendono mai la responsabilità diretta per le loro azioni. Hanno paura e sono senza direzione. Pensano solo ai propri bisogni e desideri. Non hanno nessuna iniziativa, ma criticano quelli che sanno agire.
Come definiva Sciascia gli uomini?Gli uomini sono merce rara e preziosa. Ovvio. I mezzi uomini, fa intendere Sciascia, sono uomini preziosi, forse perché interpreta il loro ruolo come quello delle formichine, che tirano il carro al posto dei buoi, eroicamente, e non alzano mai la voce.
Chi ha detto uomini ominicchi e quaquaraquà?Leonardo Sciascia - Uomini, mezz'uomini, ominicchi, pigliainculo e quaquaraquà
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