Prova fiat tipo cross 1.6 130 cv

Nel settembre del 2017, scrissi un editoriale dove, fra le altre cose, parlavo del diesel: "A forza di dire che i motori a gasolio sono responsabili delle peggiori nefandezze ambientali, creando il pretesto per una serie di scelte volte a ostacolarne la circolazione o addirittura la vendita, una soluzione tecnica che rimane nella sua forma più evoluta il miglior compromesso fra prestazioni, consumi e impatto atmosferico si trova a dover scontare un pregiudizio ormai insormontabile". Ok, non ci voleva un genio a farla, epperò la mia previsione dell’irreversibile destino si è rivelata corretta: magari il diesel non può definirsi clinicamente morto, ma di certo ha un piede nella fossa. Le Case, sconfitte dall'irragionevolezza di una politica incapace di leggere la realtà (il diesel è un'arma fondamentale per abbattere la CO2, che è l’istanza dirimente di qualsiasi strategia ambientale), sono ormai concordi nel ritenere pleonastico investire in tale tecnologia, col risultato che l’offerta va riducendosi ai minimi termini (in alcuni segmenti è scomparsa del tutto). La fredda eloquenza dei numeri recita il funebre de profundis. In un solo anno, tra settembre 2020 e settembre 2021, la quota di mercato diesel in Italia è scesa dal 32% – un valore che lo poneva alla pari del benzina – al 18,75%. A luglio è avvenuto il sorpasso delle automobili ibride nei confronti di quelle a gasolio; che tra pochi mesi, se la tendenza rimarrà inalterata (e non si vede come potrebbe essere altrimenti), verranno superate anche da Bev e Phev (già superano il 13%). A Quattroruote, di diesel non ne arrivano più, perché i costruttori giudicano inutile immatricolarle. Allora, quando ho visto arrivare in redazione una Tipo 1.6 Mjt S&Sdestinata a essere appoggio di una prova speciale, ho deciso che fosse arrivato il momento di riassaporare un gusto andato perduto su una macchina che rappresenta l’esempio paradigmatico di ciò che presto scomparirà nelle categorie baricentriche del mercato.

Intendiamoci: la Tipo non è un prodotto destinato a lasciare un segno nell’automobilismo mondiale e quando morirà pochi ne celebreranno le lodi. Ciò non toglie che sia un oggetto con una sua dignità: arrivato in un momento di stanca, in cui i concessionari chiedevano a Torino qualcosa da vendere nel segmento C dopo la fine della Bravo, si è calato senza particolari scossoni nel solco delle medie Fiat più tradizionali e oggi prosegue imperterrito nella missione di presidiare il segmento con il minimo sforzo e un margine decente. Innovazione, poca. Ma un rapporto qualità/prezzo – complice anche la produzione Tofas – che rimane ancor oggi il suo principale atout, nonostante gli anni siano passati anche per lei e il listino d’attacco a 12 mila euro sia ormai remoto (ricordo quando nel 2015 Alfredo Altavilla me la mostrò in anteprima, decidendo all’impronta di riesumare il glorioso nome dell'88, lasciando basiti i collaboratori che ancora si dibattevano fra le infinite possibilità anagrafiche). Inizialmente disponibile nella sola versione a tre volumi, perché nelle intenzioni della Fiat doveva essere una world car (progetto Aegea) e nei mercati meno evoluti il bagagliaio separato è un plus, ormai da tempo c’è anche hatchback e station. Io ho avuto modo di guidare la prima in allestimento Cross, aggiunto in occasione dell’ultimo restyling per vellicare gl’istinti di distinzione della clientela. Dentro, l’hanno resa un filo più moderna, regalandole qualche finitura elegantina e il nuovo infotainment Uconnect 5 con display a colori da 10,25 pollici preso dalla 500 elettrica: bello da guardare, funziona pure bene, anche se mi par di capire che l’automobilista che non deve chiedere mai non si distrae con roba da femminucce come la musica. Rimangono i risparmi connaturati allo spirito nazionalpopolare del modello, come l’assenza di bocchette posteriori e la regolazione della climatizzazione tra lati: difetti compensati da una capacità di carico – di esseri umani come di oggetti – d’assoluto rilievo (il bagagliaio è quello di una Dacia Duster) e dal sano pragmatismo dei comandi. Saranno pure vintage e poco cool, tasti e manopolone, però di fronte a certe plance dall'ergonomia casuale che oggi vanno per la maggiore fanno ancora la loro porca figura.

Prova fiat tipo cross 1.6 130 cv

Insomma, la classica macchina che ti sembra di conoscere da sempre, che non ha bisogno di apprendistato, dove tutto è dove te l’aspetti e che si conduce con la facilità di tutte le Fiat. Confermando l’eccellenza della scuola italiana (non a caso Renault tre anni fa si è presa il capo della dinamica veicolo di FCA per conferire nuove vitalità all’esperienza di guida), la Tipo rivela una sincerità che in alcune rivali più recenti, sempre un po' artificiali nelle reazioni, spesso latita: la sportività è altra cosa, sia chiaro, anche perché il grip delle gomme non è da paura, ma è evidente come il telaio sia "sano", come si dice in gergo, con movimenti di cassa contenuti, un'elettronica di controllo che interviene soltanto quando è proprio necessario e una frenata modulabile e potente come poche volte ho potuto sperimentare in questa classe. Purtroppo, quei 4 centimetri di rialzo resisi necessari per giustificare il nome Cross e superare gli ostacoli dello sterrato (peraltro mi chiedo chi ne abbia davvero bisogno) fanno perdere precisione allo sterzo e inducono evidenti pompaggi degli ammortizzatori sulle giunzioni più brusche (l’ho avvertito sui viadotti della Cisa, terreno ostico per la maggioranza delle macchine). Pure gli Adas (siamo al livello 1), intesi essenzialmente come Acc, funzionano bene (lo dico per mero puntiglio accademico, perché vale il discorso dell’infotainment).

Prova fiat tipo cross 1.6 130 cv

Infine, il motore, che poi era l’iniziale motivo del mio interesse. Anche qui, nulla di trascendentale. Anche qui, il miglior aggettivo rimane onesto. Anche qui, ce ne sono di migliori. Ma alla fine il dieselone millesei da 130 cavalli si dimostra adatto a una macchina priva di virtuosismi o ambizioni da best in class: ruvido in alto, vuoto in basso finché non entra in coppia, abbinato a un cambio non preciso ma ben rapportato, dà il meglio di sé in autostrada, perché altrove bisogna scalare troppo spesso per andare di fretta. Nei miei 2.000 km, il computer ha restituito un consumo medio di 16 km/l: è poco meno di quanto fatto registrare dal tre cilindri benzina mille provato a maggio 2021, quindi con il probabile apprezzamento del gasolio il risparmio si annullerà o quasi. Non siamo nel campo del fenomenale, ma alla fine gli 800 km con un pieno sono alla portata di qualsiasi piede. Insomma, una solida realtà, come dicono quelli che vendono case, che – senza indulgere in colpi di teatro ma senza neppure imporre sacrifici, ché il normale cliente non percepisce appieno la relativa inferiorità in alcune caratteristiche – dimostra come l’aurea mediocritas possa essere l’opzione ideale per tanta gente che bada al sodo (lo street price di una Tipo km zero è sui 16/18 mila euro). Quanto al diesel, azzardo un altro vaticinio: quando verrà definitivamente sacrificato in nome di una supposta incompatibilità ambientale, molti lo rimpiangeranno, perché vorrà dire che sarà iniziata un’era in cui il trasporto privato tornerà a essere un privilegio.