Aprire una partita iva per vendita online

Gli e-commerce sono diventati uno dei maggiori trend degli ultimi anni. Il basso costo di gestione e la possibilità di non pagare affitti e manutenzione di locali, ha permesso a più persone di avviare un’attività commerciale. Per aprire un negozio online è necessario semplicemente avere un sito web, una buona strategia di marketing e tempo da dedicare alla gestione, oltre a qualche risorsa finanziaria per la pubblicità. Degli investimenti decisamente più bassi se paragonati a quelli necessari per avviare un negozio in città.

Cosa è necessario fare dal punto di vista fiscale per avviare un e-commerce?

Prima di analizzare la partita IVA e il giusto regime fiscale, bisogna però operare una differenza tra commercio diretto online e commercio indiretto online.

In particolare, il commercio diretto riguarda la cessione di beni attraverso internet o una rete elettronica. Tutte le fasi della transazione, dall’ordine della merce, al pagamento alla consegna, avvengono online.

Il commercio indiretto riguarda la cessione di beni materiali visionabili su un catalogo online nel quale vengono descritte le caratteristiche dello stesso. In questo caso il bene viene spedito però a casa a seguito di transazioni economiche che possono avvenire contestualmente alla scelta del prodotto per via elettronica o alla consegna. Per entrambe le forme di commercio è necessario aprire partita IVA. Ti rimando a questo articolo per conoscere le modalità di apertura della partita IVA: https://blog.fiscozen.it/aprire-partita-iva-2018/.

Indice

  • Libero professionista o ditta individuale?
  • I regimi fiscali per le ditte individuali
  • Il regime forfettario: agevolazioni fiscali e limitazioni per l’accesso
  • Cosa posso scaricare nel regime forfettario
  • Regime forfettario start up
  • Il regime ordinario e il regime agevolato: più tasse o più possibilità?
  • Gestione INPS artigiani e commercianti: i contributi previdenziali

Libero professionista o ditta individuale?

Aprire partita IVA è il principale timore di coloro che si affacciano all’attività di lavoratori autonomi. Specifichiamo che esiste una differenza tra i lavoratori autonomi: i liberi professionisti sono coloro che svolgono attività prevalentemente intellettuale, mentre alcune altre ditte individuali svolgono attività di artigianato e di commercio, dove dunque prevale la manualità e la vendita.

Coloro che lavorano tramite e-commerce rientrano nella seconda categoria, e possono dunque essere definite come ditte individuali con orientamento al commercio.

Detto ciò, è evidente come la principale preoccupazione che desiderano poter avviare un’impresa di vendita online è rappresentata dalla necessità di affrontare adempimenti fiscali e tasse, ma in realtà esistono dei regimi agevolati che permettono di risparmiare soprattutto sulle tasse da pagare.

Peraltro, una parte di questi regimi fiscali è stata recentemente modificata dall’ultima legge di bilancio, che ha apportato un sensibile vantaggio per coloro i quali hanno un fatturato non particolarmente elevato. Cerchiamo di saperne di più.

I regimi fiscali per le ditte individuali

Esistono in Italia tre regimi fiscali tra i quali scegliere all’atto di apertura della partita IVA: forfettario, ordinario e semplificato.

Il regime forfettario è il regime agevolato che lo Stato italiano ha introdotto nel 2016 per sostituire il vecchio regime dei minimi.

Fino allo scorso anno, prima di parlare del regime forfettario era necessario analizzare il Codice ATECO dell’attività. Grazie al Codice ATECO è possibile conoscere la soglia di reddito annuo che deve essere rispettata per accedere, e rimanere, nel regime forfettario (per il commercio elettronico il Codice ATECO è 47.91.10, “Commercio al dettaglio di qualsiasi tipo di prodotto via Internet”). All’atto di apertura della partita IVA è dunque necessario comunicare alla Camera di Commercio lo svolgimento dell’ulteriore attività di commercio elettronico.

In realtà ora non esistono più differenze di limite di fatturato (ne parleremo) tra breve, a seconda della tipologia di attività svolta, poiché il legislatore ha optato per una corposa semplificazione in tal senso.

Il regime forfettario: agevolazioni fiscali e limitazioni per l’accesso

Il regime forfettario prevede un’imposta sostitutiva del 15% che va ad applicarsi sul fatturato, meno un importo (appunto, forfettario) di detraibilità. A differenza del vecchio regime dei minimi, è peraltro possibile mantenere questo regime per tutta la vita lavorativa senza doverlo cambiare, a patto però che si rispettino sempre i requisiti di accesso.

Ora, per accedere al regime, come detto, da quest’anno è sufficiente non superare un limite di reddito annuo che non sarà più distinto a seconda del Codice ATECO di appartenenza (nel caso dei commercianti al dettaglio il limite del reddito era di 50 mila euro annui), ma è identico per tutti, a quota 65 mila euro.

Ricordiamo anche che nel regime forfettario non è possibile dedurre alcuna spesa, ma lo Stato italiano ha deciso di definire comunque una percentuale di spese deducibili dal lordo del reddito per la definizione dell’imponibile da tassare. Il coefficiente di detraibilità delle spese, ovvero il coefficiente di redditività, continua ad essere diverso a seconda dell’attività di impresa, e nel caso del commercio elettronico è pari al 40%.

Ma cosa significa quanto sopra? Facciamo un esempio.

Ipotizziamo di aver aperto una partita IVA per poter gestire il nostro portale di commercio elettronico, e di aver ottenuto un fatturato di 10.000 euro nel nostro primo anno.

Le nostre tasse forfettarie al 15% non dovranno tuttavia essere calcolate all’intero fatturato di 10.000 euro, bensì sull’imponibile ai fini fiscali, che sarà pari al fatturato moltiplicato per il coefficiente di redditività. Considerato che il fatturato è di 10.000 euro, e l’aliquota di redditività è del 40%, significa che l’imponibile ai fini fiscali sarà pari a 6.000 euro, e su quell’importo si dovranno pagare le tasse al 15%. Non male, no?

Cosa posso scaricare nel regime forfettario

Ma è vero che non si possono scaricare costi nel regime forfettario? La risposta è positiva, anche se esiste una piccola eccezione. D’altronde, il regime forfettario nasce proprio per semplificare la vita a lavoratori e commercialisti, e ti permetterà di scaricare i costi in forfait, in questo caso al 60% (il coefficiente di redditività è del 40%).

Ad ogni modo, il discorso è diverso per quanto attiene i contributi previdenziali, che sono l’unico costo che si potrà dedurre dal reddito imponibile in maniera non forfettaria.

Pertanto, dal reddito imponibile, che è stato calcolato nella misura di cui sopra, potremo andare a sottrarre i contributi versati l’anno precedente per fini previdenziali. I contributi verranno sottratti dal reddito imponibile, ottenuto moltiplicando il fatturato per il coefficiente di redditività, abbassando ulteriormente la pressione fiscale.

Anche in questo caso potrebbe essere utile fare un esempio. Ipotizziamo che dopo un primo anno in cui hai fatturato 10.000 euro, arrivi un secondo anno in cui fatturi 20.000 euro. Supponiamo anche che lo scorso anno tu abbia versato contributi previdenziali alla Gestione separata INPS per 2.000 euro.

In questo caso, il tuo reddito imponibile ai fini fiscali sarà pari a 20.000 euro x 40%, pari a 8.000 euro, sottratti i 2.000 euro, ovvero 6.000 euro.

Regime forfettario start up

Nel nostro approfondimento abbiamo per il momento evitare di parlare del regime fiscale più vantaggioso, destinato alle sole start up. Ma come funziona?

Innanzitutto, per potervi accedere è necessario che il contribuente nei tre anni precedenti non abbia mai esercitato attività artistica, professionale o d’impresa, e che l’attività da esercitare non costituisca in alcun modo una mera prosecuzione di un’altra attività precedentemente svolta sotto forma di lavoro dipendente o autonomo.

Nel caso in cui invece venga proseguita un’attività svolta in precedenza da altro soggetto, l’importo dei ricavi e dei compensi nel periodo di imposta precedente quello di riconoscimento del beneficio non deve essere superiore ai limiti previsti dalla tabella per fatturato annuo in base al codice ATECO.

Se i requisiti di cui sopra vengono rispettati, il contribuente pagherà un’aliquota fiscale pari al solo 5%.

Facciamo un esempio, per poter comprendere quanto sia estremamente conveniente questo genere di applicazione.

Ipotizziamo di trovarci nel 2019, e che nell’anno precedente abbiamo conseguito un fatturato di 20.000 euro. Il nostro coefficiente di redditività è del 40%, con la conseguenza che la nostra base imponibile per il calcolo dei contributi INPS e delle tasse sarà pari a 8.000 euro.

Ipotizziamo anche che la nostra aliquota di gestione separata INPS sia pari al 25,72%, con conseguenti contributi dovuti all’INPS per il 2018 pari a 2.057,60 euro. Per quanto attiene invece l’aliquota fiscale, conteggeremo il 5% su 8.000 euro, ovvero 400 euro. In tutto, pertanto, per il lavoro del 2018 dovremo pagare tasse e contributi per 2.457,60 euro.

Ricordiamo comunque che il primo versamento delle imposte e dei contributi da parte del contribuente che ha adottato il regime fiscale agevolato per le start up avverrà in concomitanza della prima dichiarazione dei redditi che, se il contribuente ha aperto partita IVA nel 2018, avverrà nel mese di giugno 2019.

È altresì opportuno precisare che a partire dal secondo anno di attività il contribuente del nostro esempio potrà portare in detrazione anche i contributi previdenziali che avrà versato nell’anno precedente, e che diminuiranno pertanto la sua base imponibile.

Ipotizzando che anche nell’anno successivo il livello di fatturato non cambi, la nuova base imponibile ai fini fiscali non sarà più 8.000 euro, bensì 8.000 euro meno i contributi previdenziali che sono stati versati l’anno prima.

Naturalmente, per poter rimanere all’interno del regime forfettario agevolato per le start up è fondamentale che il contribuente continui a rispettare i requisiti che sopra abbiamo avuto modo di riassumere.

Il regime ordinario e il regime agevolato: più tasse o più possibilità?

Il regime ordinario e quello semplificato hanno una gestione della partita IVA molto più complessa. Innanzitutto la maggior parte delle aziende e dei professionisti che aderiscono al regime ordinario in realtà sono nel regime semplificato. Questo perché il regime ordinario si applica a tutte quelle imprese che nell’anno solare precedente hanno realizzato ricavi superiori ai 400.000€. Il regime semplificato si applica a tutte le attività economiche che hanno realizzato ricavi inferiori alla stessa cifra.

A differenza del regime ordinario, nel regime semplificato non è obbligatorio il bilancio e c’è l’esonero della tenuta delle scritture contabili. Tra gli obblighi del regime semplificato però ci sono la tenuta dei registri IVA, il registro incasso, il registro beni ammortizzabili e il libro unico del lavoro. Sia nel regime ordinario che in quello semplificato è inoltre prevista la rivalsa dell’IVA, un’imposta sul valore aggiunto che serve per tassare il consumo di beni e servizi. L’impresa o il professionista che acquista beni o servizi può detrarre l’imposta pagata dall’imposta addebitata ai propri clienti. Quindi in realtà l’IVA non grava sui guadagni della ditta individuale, ma solo sul consumatore finale!

Nel regime ordinario e semplificato abbiamo diverse percentuali di imposta IRPEF, con diversi scaglioni progressivi che partono dal 23%, per arrivare al 43% del reddito. Oltre all’IRPEF si devono considerare dei costi di imposta addizionale, regionale e comunale, che varia in base alla regione di appartenenza. Esiste un’ulteriore tassa, l’IRAP, l’Imposta Regionale sulle Attività Produttive, che deve essere pagata solo da chi esercita attività d’impresa, e non dalle persone fisiche, con una percentuale pari al 3,9% del reddito lordo.

Gestione INPS artigiani e commercianti: i contributi previdenziali

Per tutti e tre i regimi è in atto la stessa contribuzione previdenziale. Per i commercianti è prevista l’iscrizione alla Gestione Commercianti INPS che prevede un minimale, per i commercianti, di versamento annuo di 3.791,98 €, che devono essere disposti trimestralmente, in linea alle riduzioni previste dal legislatore.

I contributi devono essere versati indipendentemente dai ricavi effettivamente ottenuti dal commerciante. I 3.791,98 € sono i contributi fissi che devono essere versati per redditi fino ai 15.710 €, mentre tutto il reddito che supera questa soglia dovrà essere tassato al 24,09% e versato come contributi a percentuale trimestralmente.

Sono previste delle agevolazioni fiscali per coloro che hanno meno di 21 anni: i contributi minimali fissi sono pari a 3.320,68 € e l’aliquota per l’eccedenza del reddito è pari al 21%.  La seconda riduzione prevista è per le ditte individuali nel regime forfettario che possono usufruire di un’ulteriore riduzione dei contributi, sia fissi che variabili, del 35%.

In caso di dubbi e di ulteriori interrogativi, ti consigliamo di parlarne con il tuo commercialista di riferimento, anche alla luce dei cambiamenti che avverranno nei prossimi mesi: nel 2020 è infatti prevista l’introduzione di una nuova aliquota “flat” al 20% per fatturati non superiori a 100.000 euro.

Che tipo di partita IVA serve per vendere online?

Quello forfettario in questo momento è sicuramente il più vantaggioso, indicato per volumi di affari non molto elevati (quindi per avviare un e-commerce è più che sufficiente) in quanto consente di aderirvi a chi non supera la soglia massima di reddito di 65.000 euro annui.

Quanti soldi devi guadagnare per aprire partita IVA?

Coloro che presentano i requisiti richiesti ed hanno un incassato inferiore a 65.000€ annuali possono decidere di aprire una Partita IVA in regime forfettario.

Quante tasse paga un eCommerce?

Il reddito imponibile per gli ecommerce forfettari corrisponde al 40% dei ricavi. Per un e-commerce in regime ordinario, invece, la tassazione è progressiva a scaglioni. Questo sistema prevede una percentuale di tassazione che varia a seconda del reddito, con un minimo del 23% e un massimo del 43%.

Che tipo di partita IVA serve per vendere su Amazon?

Il codice dell'attività da indicare, per chi apre la Partita IVA per vendere su Amazon, è il 47.91.10. Quest'ultimo è il codice che raggruppa tutte le attività di commercio, sia di beni che di servizi, effettuato tramite internet.