Seneca lieve è il dolore che parla

Annamaria aspetta da tutta la settimana il suo venerdì. Il SUO venerdì. Come tutti i venerdì potrà finalmente recarsi al cinema con le amiche…le chiacchiere prima, brevi risate commentando la settimana appena passata…e poi via dentro, al buio, con le sue caramelle gommose e la coca che tanto ha atteso, anche perché ormai da 3 settimane è a dieta ferrea. Oltre a questo il lavoro, i bambini, i loro compiti e i loro impegni sportivi….Insomma il SUO venerdì Annamaria comincia a pregustarlo dal lunedì, e ogni sforzo settimanale assume un senso anche grazie alla prospettiva del suo futuro momento di libertà.

Anche perché, ultimamente, il periodo non è stato affatto facile….i problemi lavorativi del marito, i figli, uno adolescente e uno alle elementari che richiedono una costante dedizione, ma alla fine, tra scossoni vari, arriva il venerdì. Ma Annamaria, già quando scende dalla macchina, non si sente proprio in forma. “Mi girava la testa, come se avessi le vertigini”, dice….scaccia subito il pensiero e procede con la sua routine abituale…le chiacchiere, brevi risate, la fila per il biglietto, le caramelle gommose…finalmente è lì su quella poltrona, le luci si abbassano…ma per Annamaria improvvisamente, per un tempo che lei non sa definire, è buio totale.

É come se fosse sola nel vuoto, come se si ritrovasse sul cornicione del grattacielo più alto che lei possa immaginare. Così lo descrive: si trova sul cornicione di un grattacielo, per questo ha la vertigini e l’impossibilità a muoversi. Da qui la tachicardia….il cuore batte all’impazzata, lo sente nelle orecchie, comincia a sudare, ma non riesce ad alzarsi perché le vertigini la bloccano laddove si è fermata. Sono pochi istanti probabilmente, che per Annamaria durano una vita, ma Annamaria è certa di stare per morire. “Ero certa di avere un infarto, non riuscivo ad inspirare, come se avessi un macigno sul petto”.

Si agita sulla poltrona e l’amica, vicina, le chiede cosa ci sia che non va….subentra il disagio….”No no tutto bene”, sussurra. Non chiede aiuto, è incapace di parlare. Incapace di parlare, di alzarsi, di capire cosa stia succedendo. É come se si vedesse dall’esterno, come se la sua mente fosse uscita dal corpo e quindi non ne avesse più il controllo.
Dopo poco questa sensazione sparisce, e Annamaria si ritrova sulla sua poltrona, laddove si era posizionata. Ha avuto il suo primo attacco di panico.

Nei giorni successivi attribuisce quello che è successo ad un malessere fisico passeggero…ne parla con il marito e lui la convince a rivolgersi al medico curante, che le prescrive delle analisi di routine. Va tutto bene, è tutto a posto. Così Annamaria si tranquillizza, ma quel breve attimo, quel brevissimo ma infinito attimo, comincia da subito a scavare, imperterrito, un solco di paura. Quello che si è innescato lei lo capirà solo dopo, a distanza di tempo.

E così dopo una settimana circa, mentre è in autobus per andare a lavoro, il mondo le cade nuovamente addosso, con tutto il suo peso. Il cuore che batte all’impazzata, le vertigini, la difficoltà a inspirare, la bocca vorrebbe parlare e chiedere aiuto ma non si apre. Annamaria vorrebbe semplicemente scendere dall’autobus, mettersi ad urlare, ma non ce la fa. “Oddio e se mi sento male qui dentro chi potrà soccorrermi?”, pensa. Rimane immobile sotto quel peso per qualche minuto che sembra un’eternità.
Poi tutto passa, improvvisamente come era arrivato, e Annamaria procede con la sua giornata. Ma il pensiero è sempre lì, a quel momento, che si collega in maniera impietosa al venerdì precedente. Ne parla nuovamente con il marito e procede ad una visita cardiologica, che conferma l’assenza di qualunque patologia. Il cardiologo però parla con Annamaria, le chiede come vanno le cose a casa e a lavoro, e accorgendosi che si tratta di un periodo per lei particolarmente stressante le consiglia un consulto psicologico. Ma Annamaria pensa di potercela fare da sola. “Passerà”, pensa.

Così gli attacchi di panico diventano sempre più frequenti: al supermercato, davanti alla scuola dei figli mentre li accompagna, al bar mentre prende un caffè con un’amica. Annamaria pensa di nuovo che tutto passerà, ma comincia ad evitare. Inventa sempre più frequentemente delle scuse per non andare al cinema il venerdì. I caffè con le amiche diventano per mesi un lontano ricordo. La spesa è molto più comodo farla online. Il momento in cui deve accompagnare o riprendere i suoi figli da scuola o dalle attività sportive li vive quasi in apnea, calcolando sul cellulare i minuti che la separano dal varcare l’uscio di casa. A lavoro adesso va in macchina, molto spesso si fa accompagnare, si da malata, o non si sente bene e rincasa prima del previsto. Annamaria ha “paura di aver paura”.

Una sera Annamaria lava i piatti, e il figlio più piccolo va in cucina e le chiede se il giorno dopo può invitare un amichetto a casa…”Magari dopo i compiti ci puoi portare al parco”, le dice. Annamaria non risponde e comincia a piangere. Crolla. Crolla nel momento in cui le si fa chiaro e lampante quello che sta accadendo, crolla nel momento in cui vede davanti a sé la prigione che si è abilmente costruita. E così, faticosamente, Annamaria chiede aiuto ad uno psicologo, per ricominciare a vivere.

Annamaria soffre di un disturbo di panico con agorafobia, Pensate che Annamaria sia debole? Non avete idea di cosa stiate parlando. Annamaria è stata capace non solo di chiedere aiuto, non solo di affrontare la sua paura, ma di guardarsi dentro. Annamaria è stata capace di capire che quell’ansia non era un nemico ma era un alleato al suo benessere, ed è stata così coraggiosa da mettersi in ascolto della persona che avrebbe voluto essere. Annamaria ha compreso che quel sintomo così “devastante” era in realtà un messaggio rivolto a sé stessa. Con grande fatica ha accettato di entrare in un cammino, a volte doloroso, per “riconquistare” sé stessa e i suoi spazi, e ha appreso quelle strategie necessarie a gestire i momenti di ansia acuta.

Ma cosa è successo? Già successivamente al primo attacco di panico si è verificata la cosiddetta “Ansia anticipatoria”, ovvero una forma di ansia che deriva dall’anticipazione di pensieri focalizzati su preoccupazioni reali o immaginarie di avere un attacco di panico nella situazione che ci si prepara ad affrontare. L’ansia ha così “ecceduto” dal suo livello fisiologico di attivazione e questo ha portato progressivamente Annamaria ad evitare un numero sempre più ampio di situazioni che ha generato a sua volta un altro disturbo d’ansia, l’Agorafobia.

Parliamo di Agorafobia quando l’individuo comincia ad evitare luoghi o persone da lui ritenuti ansiogeni. Si instaura così un evitamento agorafobico che la persona inizialmente percepisce come valida strategia per non provare le sensazioni fisiche e psicologiche spiacevoli. Ma a lungo andare l’ansia anticipatoria e il conseguente evitamento possono portare ad una compromissione del funzionamento socio-lavorativo della persona. Per questo diventa fondamentale rivolgersi ad un professionista.

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