Come superare traumi emotivi dell infanzia

Tutti noi abbiamo prima o poi avuto a che fare con i più strani e invalidanti condizionamenti che ci creiamo da soli nella vita quotidiana, che ci limitano e ci costringono a (ri)vivere situazioni che non ci piacciono, ma che ci scegliamo - spesso inconsciamente - volta dopo volta. Tendiamo a fare gli stessi errori, ad autosabotarci, a scegliere sempre le persone sbagliate da avere accanto, tanto per fare qualche esempio. Perché succede? L'origine di tutto va cercata nei traumi. Ebbene sì, anche la più piccola esperienza traumatica vissuta da bambini può lasciare un segno indelebile che condizionerà il modo in cui vivremo anche da adulti.

Riparare il trauma infantile. Manuale teorico-clinico d'integrazione tra sistemi motivazionali e EMDR

Com'è possibile che succeda? Cosa possiamo fare per evitarlo? Per scoprirlo abbiamo parlato con la dottoressa Anna Rita Verardo, psicologa e psicoterapeuta, da anni interessata alla ricaduta delle esperienze traumatiche sullo sviluppo della personalità. Ha infatti scritto un libro - Riparare il trauma infantile, pubblicato con Feltrinelli - proprio per spiegare a tutti (genitori compresi) i meccanismi che stanno alla base dell’elaborazione delle esperienze disfunzionali nell'età della crescita - chiarendo anche come mettere i bambini in condizione di elaborare e dare significato agli eventi della loro vita per evitare i traumi. Questo è tutto quello che dovremmo sapere sui traumi (e su come affrontarli per vivere finalmente meglio).

Prima di tutto, come descriverebbe i traumi in termini comprensibili per tutti?

Possiamo considerare trauma qualsiasi esperienza che va al di là delle esperienze che viviamo quotidianamente e che può lasciare un impatto molto forte, sia livello emotivo che a livello comportamentale, attivando i sistemi primitivi di difesa - soprattutto se si tratta di - come vengono definiti - Traumi con la T maiuscola come terremoti, incidenti, lutti molto gravi, diagnosi di malattie con esito infausto - alias tutto ciò che minaccia la sopravvivenza dell'individuo. Questi sono i traumi che culturalmente siamo capaci di definire come tali, ma poi purtroppo esistono anche quei traumi invisibili, quelle esperienze traumatiche che non siamo abituati a vedere e che sono definiti traumi minori, con la t minuscola, e che hanno a che vedere con tutte quelle esperienze che vissute per un tempo molto lungo - come nel caso di un bambino che viene umiliato e mortificato più e più volte o in quello del bambino che ha vissuto con un genitore depresso, vulnerabile o sofferente per un lutto non elaborato - e che hanno un grandissimo impatto sullo sviluppo della persona - anche se vengono considerate esperienze di minore importanza a livello culturale.

Quindi situazioni quotidiane a cui non diamo forse la giusta importanza, ma che hanno conseguenze importanti?

Esatto. Se io vengo più e più volte umiliato o deriso o mortificato, imparo che non merito di essere trattato bene, che non sono importante e che non valgo abbastanza - orientando tutte le scelte future in base a queste credenze che diventano durevoli e rischiano di essere trasmesse ai propri figli. Ecco perché poi parliamo di trauma transgenerazionale: le esperienze non risolte hanno una ricaduta sul nostro modo di essere genitori e quindi impattano fortemente sulla vita dei nostri figli.

Questi traumi minori sono quelli che sul suo libro definisce anche "eventi comuni che incidono profondamente sullo sviluppo del bambino"?

Sì, sono proprio esperienze che noi siamo soliti vivere, come ad esempio vedere i genitori che litigano spesso - un evento abbastanza comune, che siamo portati a considerare normale. Infatti, quando ai nostri pazienti chiediamo come è stata la loro infanzia, solitamente la definiscono "normale", soltanto che in quel "normale" ci può essere tutto e niente. Uno psicoterapeuta deve approfondire la motivazione che ha portato quella persona ad avere certi sintomi andando più a fondo possibile - ad un esempio, l’attacco di panico è un sintomo abbastanza comune.

Che dire sugli attacchi di panico?

Quando parliamo con i pazienti con attacco di panico, questi raccontano esperienze di vita abbastanza comuni, definite "normali". Noi dobbiamo andare molto in fondo a indagare, chiediamo cosa succedeva quando il paziente era piccolo, se ha avuto bisogno di aiuto senza trovarlo, se ha provato paura, come si comportavano i suoi genitori con lui nei momenti di difficoltà. È facile che il paziente risponda, per esempio: “Io non chiedevo aiuto perché mia madre era già tanto affaticata coi miei fratelli quindi me la cavavo da solo”, oppure veniamo a scoprire che, quando aveva paura, la mamma si spaventava ancora perché soffriva ancora per un lutto non risolto. Insomma, anche esperienze abbastanza normali possono avere un impatto sul mondo emotivo del bambino che poi diventa adulto, che può addirittura avere effetti peggiori di un trauma con la t maiuscola.

Quindi più traumi con la t minuscola sono più "pericolosi" di un Trauma con la T maiuscola?

Sì. Nel 1968 un ricercatore chiamato Masud Khan ha parlato proprio del trauma cumulativo, cioè tutte quelle esperienze micro-traumatizzanti che, però, se ripetute nel tempo, diventano una macro esperienza perché hanno un effetto sull’identità della persona. Paradossalmente, è più facile guarire da un Trauma con la T maiuscola che da uno con la t minuscola.

Come mai?

Innanzitutto perché culturalmente il Trauma con la T maiuscola è legittimato come un’esperienza avversa, quindi le persone possono ricevere una rete di assistenza e supporto psicologico. Invece, i traumi con la t minuscola spesso non vengono nemmeno narrati, sono meno rappresentati e anche meno culturalmente riconosciuti come tali. Un tempo si diceva che "quello che non ti strozza ti ingrassa", cioè che quello che non ci uccide in qualche modo ci rende più forti. In realtà, è vero che tutto quello che non ci ammazza ci rende più forti, ma è vero che anche che può darci una rappresentazione del mondo molto disfunzionale.

Quali sono i sintomi più comuni di un trauma minore in un bambino?

Il bambino non soffre di attacchi di panico generalmente, ma può mostrare ansia da separazione, il rifiuto di andare a scuola, paure come la paura del buio - molto comune nei bambini. Altri sintomi comuni nei bambini possono essere quelli fisici, come per esempio alcune malattie psicosomatiche: il mal di pancia, l’asma, la psoriasi...tutte possono avere origine nelle prime esperienze di vita che il bambino ha avuto con i suoi genitori. I bambini che hanno avuto delle esperienze in cui hanno imparato che nel momento del bisogno ci sono degli adulti forti e saggi che sono una fonte di sicurezza per loro, superano molto più facilmente anche situazioni della vita che li portano a sentirsi non all'altezza

I traumi infantili possono avere effetti sin dai primi mesi di vita?

Certo, pensate che già nei primi 18 mesi di vita, il genitore deve regolare i ritmi biologici del bambino - sapere quando dargli da mangiare, capire quando ha fame, quando ha sonno, quando ha fatto pipì. Se il genitore ha avuto un'esperienza traumatica che non gli permette di essere veramente sintonizzato e in contatto con i bisogni del bambino, il rischio è che il bambino abbia coliche gassose, difficoltà a dormire la notte e difficoltà ad attaccarsi al seno - tanto per fare qualche esempio. Quel genitore non è stato un cattivo genitore, ma ha avuto a che fare a sua volta con esperienze che l'hanno reso in qualche modo così affaticato e dolorante che non è in grado di connettersi con i reali bisogni del bambino. Tantissimi sintomi dei bambini sono spiegabili così: per esempio l’ADHD, ovvero il disturbo della concentrazione dell'attenzione - nella mia nella mia pratica clinica lo vedo nel 98% dei casi - ha a che vedere proprio con esperienze non elaborate dei genitori che poi hanno difficoltà a regolare le emozioni del bambino che poi si deve in qualche modo auto regolare.

Cosa succede in quel caso?

I bambini non stanno mai fermi, non sono concentrati, è come se fossero in costante iper attivazione, come se non raggiungessero mai lo stato di calma, come se avessero un’attivazione del sistema nervoso ortosimpatico che impedisce loro di avere un buon stato di calma che aiuta la concentrazione. Quindi, il bambino che ha per esempio disturbi dell'apprendimento, ha bisogno che si indaghi verso la fonte del suo disturbo, se un’esperienza traumatica o esperienza avversa oppure una questione neurobiologica o ancora una vulnerabilità genetica. Quando noi facciamo diagnosi dobbiamo sempre considerare le esperienze che quel bambino ha vissuto e le modalità in cui è stato regolato o calmato dalle sue figure di riferimento.

Quali sono i traumi con la t minuscola più difficili da risolvere nel caso dei bambini?

I traumi più difficili da riconoscere sono quelli che avvengono all'interno del contesto familiare, dove il bambino non riesce a discriminare se quella che è avvenuta è una cosa normale, un normale comportamento del genitore, oppure invece è un sbagliato e negativo. Siccome i bambini fondamentalmente si fidano degli adulti - soprattutto quando sono piccoli - e a maggior ragione si fidano dei loro genitori, nel momento in cui è un genitore a mortificare il bambino oppure è un genitore ad avere dei comportamenti al limite tra la sicurezza il pericolo - ad esempio nel caso di violenza domestica - il bambino non sa discernere cos’è la cosa giusta e qual è la cosa sbagliata, se il genitore ha ragione ha torto e si sta comportando male o ha ragione e agisce in modo normale.

In questo caso si parla anche di schiaffi?

Quante volte abbiamo sentito dire ‘sì, qualche schiaffo l’ho preso da bambino, ma i miei genitori lo facevano per il mio bene"? Non dico che uno schiaffo può essere considerato sempre causante un trauma, però dipende da quanti schiaffi vengono dati, dal perché vengono dati e dal come vengono dati. I genitori che non causano eventi traumatici non sono genitori perfetti che non sbagliano mai - anzi, sono genitori che sbagliano a loro volta, ma sono pronti a riparare un errore che hanno fatto. Faccio un esempio: se un genitore, nel momento in cui il bambino si sta comportando male, reagisce sulla base di una logica educativa è una questione, ma se il genitore reagisce seguendo un suo istinto emotivo potrebbe ottenere come risultato un'esperienza disfunzionale per il bambino, perché il genitore sta solamente il reagendo a una sua emotività, e non a una regola educativa che anche il bambino possa capire.

Anche negli adulti riscontra che il trauma più diffuso sia questo legato alla famiglia?

Sì, resta il più difficile da scovare e da elaborare. Quando lavoriamo con pazienti che hanno subito abusi - sia fisici che sessuali - nell’infanzia, riconoscere il carnefice è molto facile, ma la parte invisibile agli occhi è sempre l’omissione di soccorso - ovvero “come mai nessuno mi ha protetto? Come mai nessuno ha fatto qualcosa per impedire che succedesse?”. È vero che l’esperienza più soverchiante è stato l’abuso, ma una volta elaborato quello, di solito si passa alla parte dell’omissione, che è più difficile da elaborare.

In quanti modi e quanto profondamente questi traumi condizionano la nostra vita?

I traumi con la T maiuscola possono avere come conseguenza il disturbo post traumatico da stress, quindi impattare sul nostro sistema di sicurezze. Per esempio, ogni volta che sentiamo un rumore che mettiamo in relazione a un brutto evento vissuto, possiamo provare le stesse sensazioni fisiche e la stessa paura che abbiamo sperimentato in quella situazione. Inoltre, le esperienze che viviamo da bambini rischiano di condizionare le nostre scelte future. Come già dicevo, se da bambino sono stato fortemente umiliato, imparo che nella vita merito di essere umiliato e non posso avere niente di buono. Le mie scelte da grande, quindi, si orienteranno verso un partner che mi umilia come mi umiliavano i miei genitori perché, non aspettandomi di essere degno d'amore e di attenzioni - potrei scegliere una serie di situazioni e persone che confermano quella credenza disfunzionale già sperimentata a lungo.

Se da bambino, alle scuole elementari, ho avuto degli insegnanti che mi hanno trattato male e fatto sentire incapace, potrei cercare il modo di confermare questa loro impressione, non mettendomi nella condizione migliore per sperimentare il contrario - condizionando completamente la mia vita.

Esiste una via d'uscita?

Sì, ma la persona deve decidere di interrompere questo circolo vizioso e di considerare la possibilità di farsi aiutare a pensare diversamente, a fare delle scelte più sintoniche con la sua persona.

Cos'è il metodo EMDR di cui parla nel suo libro e come aiuta a superare i traumi?

L'EMDR è un metodo psicoterapeutico, che va applicato solo da psicologi e psicoterapeuti, ideato dalla psicologa americana Francine Shapiro e utilizzato in Italia dal 1998. Utilizza il movimento oculare - come quello che avviene durante il sonno REM, quindi sono movimenti rapidi degli occhi - mentre il paziente si concentra sul ricordo peggiore dell'esperienza traumatica. Ovviamente, il lavoro del clinico deve essere quello di saper individuare quali sono le esperienze che quel paziente ha vissuto e che hanno a che vedere con il suo sintomo. Una volta individuato il ricordo disfunzionale e le emozioni che il paziente tutt'ora sperimenta, vengono effettuati questi movimenti oculari e, con l'aiuto del clinico, è proprio il cervello che riprende una innata e naturale elaborazione dell'esperienza, diventando in grado di distinguere il passato dal presente e di elaborare gli aspetti emotivi, comportamentali e cognitivi legati a quell'evento. Il paziente diventa capace di ricollocare quell'esperienza nel passato, sapendo che non si ripete anche oggi, che oggi può agire in modo diverso e fare scelte diverse. Così, in futuro, potrà vincere gli schemi mentali che gli fanno ripetere in continuazione certi comportamenti disfunzionali.

Quindi è il semplice movimento degli occhi a fare questo lavoro?

Diciamo che la maggior parte del lavoro lo fa il cervello del paziente. Il terapeuta non condiziona assolutamente il processo del paziente, che avviene in maniera innata. Il cervello elabora da solo i nostri blocchi che ci costringono a fare le stesse scelte e vivere le stesse situazioni, portandoci verso comportamenti più adattivi rispetto alla persona che siamo diventati. Se io, ad esempio, ho il ricordo di essere stato aggredito da un cane, il mio cervello vede la prospettiva in cui sono bambino e questo cane mi fa del male. Se passo alla percezione di me adulto, capisco che posso scappare, difendermi o non avere più paura del cane. Mi rendo conto che allora ero piccolo, non sapevo difendermi e tutte le mie risposte di sopravvivenza erano inficiate dal fatto di essere un bambino. È come se il cervello facesse una progressione rapida, rivedendo la situazione alla luce di quello che io sono adesso e delle scelte che posso fare ora, il tutto in modo naturale.

È una terapia che funziona benissimo, anche sui bambini che guariscono molto più rapidamente e si divertono perché capiscono che è il loro cervello a fare tutto il lavoro, assistono a un processo naturale che va nella direzione dell'autoguarigione.

Funziona così bene anche sugli adulti?

Certamente, può essere essere utile a qualsiasi persona che fa psicoterapia a qualsiasi età.

Ho letto che ha aiutato i bambini sopravvissuti ai terremoto di Amatrice e di San Giuliano, come descriverebbe questa esperienza?

Io ho seguito il lavoro coordinato dall'Associazione EMDR Italia e ho lavorato con bambini sopravvissuti, che erano anche stati intrappolati sotto le macerie. Io mi sono occupata dei più piccoli, fino ai 5 anni. La differenza tra traumi con la t minuscola e con la T maiuscola si capisce bene proprio lavorando con i più piccoli: quando chiediamo a un bambino molto piccolo qual è stata la parte più disturbante di quell'evento, non parlerà mai del terremoto, ma racconta della mamma che urla, piange, ha paura. Quando un bambino piccolo è in una situazione di pericolo, per prima cosa guarda come reagisce il genitore - che, vivendo un'esperienza così soverchiante non può controllarsi e tranquillizzarlo. Quindi, la paura del genitore ha un effetto estremo sul bambino perché a quel punto non vede più una figura sicura e solida a cui aggrapparsi.

Con bambini più grandi e adolescenti ho lavorato sul trauma con la T maiuscola del terremoto, ma con quelli più piccoli ho sempre dovuto elaborare prima il trauma con la t minuscola del ricordo della mamma che piange, urla e ha paura, passando solo in seguito a quello del terremoto perché per loro è secondario.

È stato emotivamente molto impegnativo per lei lavorare con bambini traumatizzati?

Io dico sempre che lavorare con l'EMDR mi aiuta anche a proteggermi, perché io so che anche se sto lavorando con un bambino traumatizzato, abusato sessualmente, maltrattato e trascurato emotivamente, so con certezza che guarirà, che chiuderà quelle ferite. Questo mi fa sentire meno carico emotivo perché so che ci sarà il cambiamento, con quella terapia il bambino cambierà e starà bene. Questo aspetto mi dà una grandissima forza.

Le piace di più lavorare con i bambini?

Io, in realtà, lavoro anche con gli adulti, ma ho scelto di lavorare molto coi bambini per un motivo: se gli adulti possono superare le esperienze vissute durante l'infanzia, un bambino può farlo ancora prima quindi gli risparmio anni di sofferenza. Il lavoro col bambino non è solamente curativo, ma è anche preventivo rispetto ai disagi che può avere da adulti e che può provocare come genitore sui figli.

Che consigli si sente di dare a un genitore che riconosce nel figlio i sintomi di un trauma?

Il mio consiglio è questo: se voi genitori vi rendete conto di avere ancora delle ferite emotive aperte, prima di tutto intervenite per lavorare su queste ferite così da impedire che anche i figli le vivano. Io dico sempre di partire dai genitori, aiutando loro, per poi lavorare sui bambini.

Come capire se hai avuto un'infanzia traumatica?

La paura del crollo: i sintomi di un trauma rimosso.
ritorno a uno stato non integrato del Sé;.
cadere per sempre;.
perdita dell'insediamento della mente nel corpo (depersonalizzazione);.
perdita del senso del reale (derealizzazione);.
annullamento della capacità di entrare in relazione (stato autistico)..

Cosa possono causare i traumi infantili?

Diverse ricerche hanno stabilito che esperienze di maltrattamento (trascuratezza, ipercuria, discuria, abusi fisici e psicologici, abusi sessuali, violenza assistista) durante l'infanzia possono portare ad una vulnerabilità nello sviluppo di sintomi dissociativi, depressione ed ansia.

Come uscire da un trauma?

La cura per superare un trauma psicologico prevede l'utilizzo di diversi strumenti psicoterapeutici e riabilitativi. Tra le terapie evidence-based per il PTSD vengono utilizzate, oltre all'EMDR, il protocollo di Esposizione Prolungata e la Terapia Narrativa.

Quanto tempo ci vuole per superare un trauma?

Per quel che concerne il decorso della sintomatologia, circa il 60% dei casi di Disturbo Post Traumatico da Stress si rimette spontaneamente nei primi 12 mesi, senza un trattamento psicoterapeutico, ma comunque presenta una sintomatologia post-traumatica che viene spesso curata con farmaci.