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Patologia
Pubblicato il 24.11.19 di Silvia Stabellini Aggiornato il 21.11.19
Si stima che oltre il 10% della popolazione con oltre 70 anni soffra di insufficienza cardiaca, una condizione cronica che deve essere seguita e curata per tutta la vita. L’insufficienza cardiaca (IC) o più comunemente scompenso cardiaco (SC), è la condizione nella quale c’è una disfunzione ventricolare per la quale il cuore non riesce a pompare il sangue in quantità sufficiente alle richieste dell’organismo.
Definizione di scompenso cardiaco
Lo scompenso cardiaco si manifesta con affanno, difficoltà di respiro e senso di stanchezza
Lo scompenso cardiaco (SC) può essere definito sotto tre aspetti:
- Clinico: cedimento dell’efficienza del cuore per un danno del miocardio che può essere diretto (es. miocardiopatie) o indiretto (es. valvulopatie, cardiopatie congenite. Ipertensione arteriosa)
- Emodinamico: aumento della pressione diastolica di riempimento di uno o entrambi i ventricoli, che può essere causata da una diminuzione dell’elasticità delle pareti ventricolari o da iperdistensione delle fibre miocardiche
- Biochimico-metabolico: alterato utilizzo dell’energia da parte del miocardio, con conseguente riduzione dell’efficienza cardiaca
Si può considerare lo scompenso cardiaco come una patologia progressiva che inizia con un evento scatenante (evento indice) che danneggia il muscolo cardiaco, provocando una perdita del funzionamento dei miociti o distruggendo la capacità del miocardio di generare forza e quindi impedendo una normale contrazione del cuore.
L’evento scatenante può insorgere improvvisamente (es. infarto miocardico), può essere a comparsa graduale (es. ipertensione arteriosa) oppure può essere ereditario.
La frazione d’eiezione ventricolare sinistra (FE) rappresenta il cardine dei criteri utilizzati per selezionare i pazienti candidabili a impianto di defibrillatore cardiaco impiantabile (ICD) nella prevenzione primaria della morte cardiaca improvvisa. In associazione alla terapia medica ottimale, è noto come l’impianto di ICD migliori la sopravvivenza dei pazienti con scompenso cardiaco e frazione di eiezione inferiore o uguale al 35%.
Diversi studi hanno mostrato come il miglioramento della frazione di eiezione durante il follow-up si verifichi approssimativamente nel 20-25% dei soggetti con cardiomiopatia ischemica e nel 40-50% dei pazienti con cardiomiopatia non ischemica. Il rischio di morte improvvisa e dunque il beneficio derivante dall’impianto dell’ICD, ad oggi, non risulta ancora ben chiaro in presenza di un miglioramento della frazione d’eiezione durante il follow up. Recentemente è stato pubblicato uno studio su JAMA da Adabag et al con lo scopo di valutare l’efficacia dell’impianto di ICD nel ridurre la mortalità per ogni causa e il rischio di morte cardiaca improvvisa nei pazienti con riscontro di miglioramento della FE durante il follow-up.
Lo studio
L’analisi ha retrospettivamente analizzato i dati raccolti nello studio SCD-HeFT. Dei 2521 appartenenti all’analisi iniziale, sono stati selezionati i 1902 (75.4%) pazienti che erano stati sottoposi a una rivalutazione della FE dopo una media di 13.5 ± 6 mesi dalla randomizzazione. Ventisette pazienti sono stati esclusi poiché la misurazione della FE era stata eseguita successivamente al trapianto. I rimanenti 1875 pazienti sono stati randomizzati a ricevere placebo (n=649), amiodarone (n=602) o impianto di ICD (n=624). In base alla rivalutazione della FE, i pazienti sono stati, dunque, suddivisi tra quelli la cui FE aveva mantenuto un valore uguale o inferiore al 35% e coloro i quali avevano avuto un miglioramento con FE superiore al 35%. Nel gruppo ICD, 186 (29.8%) pazienti avevano avuto un miglioramento della FE (FE media ± DS: dal 26±7% al 46±8%) mentre nel gruppo placebo, in 185 (28.5%) pazienti la FE aveva raggiunto valori maggiori del 35% (FE media ± DS: dal 27±6% al 45±7%).
Sono stati dunque analizzate la mortalità per ogni causa e la mortalità per morte cardiaca improvvisa. Dopo 30 mesi dalla rivalutazione della FE, la mortalità totale si è dimostrata più bassa nel gruppo ICD rispetto al gruppo placebo sia nei pazienti nei quali la FE era rimasta inferiore al 35% (7.7 versus 10.7 su 100 persone/anno di follow up) sia nei soggetti con miglioramento della FE (2.6 versus 4.5 su 100 persone/anno di follow up). Rispetto al placebo, l’hazard ratio per gli effetti dell’impianto dell’ICD sulla mortalità era 0.64 (95% CI, 0.48-0.85) nei pazienti con FE rivalutata inferiore o uguale al 35% e 0.62 (95% CI, 0.29-1.30) in quelli con FE superiore al 35%.
Conclusioni
Gli studiosi hanno concluso, pertanto, che, nello studio SCD-HeFT, i pazienti con miglioramento della FE durante il follow up, presentavano una medesima riduzione della mortalità indotta dall’impianto di ICD rispetto ai pazienti nei quali la FE si era mantenuta ridotta. È necessario dunque riflettere sulle implicazioni a cui tali conclusioni conducono: la necessità di una corretta stratificazione del rischio nei pazienti in terapia medica ottimale con miglioramento della frazione d’eiezione. Studi aggiuntivi sono pertanto necessari per testare l’efficacia dell’impianto di ICD in tale categoria di pazienti.
Germana Panattoni
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Fonte
Adabag S, Patton KK, Buxton AE et al. Association of Implantable Cardioverter Defibrillators With Survival in Patients With and Without Improved Ejection Fraction. Secondary Analysis of the Sudden Cardiac Death in Heart Failure Trial. JAMA Cardiol. Published online May 17, 2017.