Alberto sordi detenuto in attesa di giudizio

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Il 15 settembre recuperiamo la proiezione saltata il 31 agosto per temporale. Vi aspettiamo!

DETENUTO IN ATTESA DI GIUDIZIO, Nanni Loy, 1971, 102’

Giuseppe Di Noi, geometra emigrato in Svezia e divenuto titolare di una piccola impresa edile, decide dopo sette anni di tornare in Italia per le vacanze estive insieme alla moglie Ingrid e ai due figlioletti; ma all’esibizione del passaporto alla frontiera, viene ammanettato dagli agenti e trasferito, senza particolari spiegazioni sull’accusa, nel carcere di San Vittore. La sua odissea proseguirà nei penitenziari di Regina Coeli e Sagunto, fino a condurlo, in seguito a vari traumi, in un manicomio criminale. «Il kafkiano itinerario dell’innocuo geometra, trasformato in criminale per una distrazione della burocrazia peninsulare, offre a Nanni Loy e allo sceneggiatore Amidei, cronache giornalistiche alla mano, l’opportunità per spezzare una lancia in favore della riforma del nostro sistema carcerario e giudiziario. Si può chiamare commedia un film simile, anche se interpretato da un Sordi che non trascura le occasioni per far ridere? O non siamo piuttosto davanti a una satira civile, apprezzabile sia per l’intento che l’equilibrio fra realismo e invenzione comica? Se è vero che la cosiddetta commedia italiana resta un genere minore, qui essa assume tuttavia una precisa dignità sociale, di cui si deve tener conto» (Frosali).

I titoli di testa di Detenuto in attesa di giudizio (1971) di Nanni Loy, uno dei pochissimi drammi interpretati da Alberto Sordi, attribuiscono soggetto e sceneggiatura a Sergio Amidei ed Emilio Sanna, da un’idea di Rodolfo Sonego. Ma è ormai risaputo che l’intuizione venne proprio ad Albertone dopo la lettura di Operazione Montecristo, scritto in carcere da Lelio Luttazzi.

Infatti, solo un anno prima il musicista e showman era stato incarcerato ventisette giorni a Regina Coeli per un errore giudiziario, e la descrizione dettagliata dell’esperienza aveva tutte le caratteristiche di una denuncia al sistema. Emotivamente c’era tutto il potenziale per fare del cinema popolare di grande qualità, e l’attore romano non perse l’occasione di mettersi alla prova.

Sordi in una scena del film

Immediatamente fu raggiunto un accordo con la Documento Film di Gianni Hecht Lucari, già promotore degli esordi sordiani con Un giorno in pretura (1954) di Steno ma anche della sua evoluzione autoriale con Amore mio aiutami (1969). Restava da sciogliere il nodo sul regista, che sarebbe potuto essere Sordi stesso se Nanni Loy non si fosse interessato all’altra fonte di ispirazione della trama, ovvero l’inchiesta televisiva Verso il carcere, realizzata dal citato giornalista Sanna.

Loy era sì un attore popolare (si ricorda lo sceneggiato Marcovaldo), ma anche un realizzatore di commedie per il cinema aderenti alla realtà sociale e tendenti alla denuncia, come Made in Italy (1965). Ed era stato inoltre fra i firmatari della lettera aperta che indicava un coinvolgimento del commissario Luigi Calabresi nella morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli presso la Questura di Milano. Nella pellicola vide perciò la possibilità di avventurarsi in una produzione più complessa e seria del solito.

Sordi in una scena del film

Detenuto in attesa di giudizio si presenta come un incubo kafkiano calato nella realtà carceraria italiana. Il geometra Giuseppe Di Noi (nomen omen: potrebbe essere chiunque), emigrato in Svezia per lavoro, rientra in Italia dopo dieci anni per una vacanza con la famiglia e alla frontiera viene arrestato senza spiegazioni. Col tempo, e con molta fatica, riesce a scoprire di essere accusato di «omicidio colposo preterintenzionale» di una persona che però il protagonista sa di non conoscere.

Da quel momento ha inizio un calvario di interrogatori, perquisizioni, spostamenti, vessazioni. In cella con un gruppo di loschi signori, prima di essere definitivamente trasferito in manicomio, rischia persino una violenza sessuale che lo porta al collasso psicologico. Il tutto condito da un accompagnamento musicale in forma di valzer, composto dal maestro Carlo Rustichelli per la brillante direzione di Bruno Nicolai, che evidenzia l’inesorabile ciclicità di uno schema viziato.

Sordi in una scena del film

Ironico è poi il pre-finale, in cui avvocato, giudice e titolare della clinica scambiano riflessioni sul caso del detenuto dimenticandosi che l’uomo si trova nella stanza. Ma in questa bellissima sequenza è il momento subito precedente a lasciare il segno. Mentre i notabili escono fuori per confrontarsi sui dettagli da rivelare al malcapitato, questi scambia un lungo sguardo silenzioso con il segretario del magistrato, il quale dopo un sorriso imbarazzato sembra prendere coscienza della tragedia.

Un minuto esatto di grandissimo cinema in un film che ne regala molti altrettanto straordinari. Inoltre risalta la prospettiva satirica in alcune scelte di cast, come quella di Lino Banfi per il ridicolo direttore della prigione di Sagunto, località immaginaria riprodotta a Procida. Un’idea di potere corrotto, inetto e vanesio che fece scalpore all’epoca e non passa inosservata tuttora. Davvero, insieme a Caffè Express (1980), il film di Loy è da riscoprire e rivedere per la sua assoluta attualità.

Sordi in una scena del film

A tenere in piedi la rappresentazione è comunque il volto di Sordi, qui però al servizio di una drammaturgia asciutta come accadrà pochi anni più tardi con Un borghese piccolo piccolo (1977) di Mario Monicelli. Anche se non manca la sua verve sarcastica laddove il personaggio prende la parola per commentare gli eventi insieme allo spettatore: «Com’è possibile che possiate fare quello che fate?», (si) domanda Di Noi a un certo punto. Non a caso come titolo internazionale viene scelto Why?.

Uscito in sala il 27 ottobre 1971 e solo in seguito presentato al Festival di Berlino, Detenuto in attesa di giudizio vale ad Alberto Sordi l’Orso d’Argento per il miglior attore e il David di Donatello al Miglior attore protagonista. Burocrazia disumanizzata, comunicazione inibita dai mass media, classismo e persino diritti basilari alienati dalla retorica. Ad oggi rimane una perfetta fotografia dell’Italia che è stata, è e forse continuerà ad essere se qualcosa non cambierà alla radice.

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